Not the Same (2022)
Svelarsi velandosi, nascondersi dietro ciò che è evidente e celare ciò che deve vedersi. E’ il vertiginoso gioco che l’emergente artista australiano “dark-pop” propone all’Eurofestival torinese, ponendosi come la proposta più pensosamente suggestiva. Una sfavillante maschera di cristallo che copre/scopre un viso che si offre alla vista solo al termine dell’esibizione, diluvi di swarowski, cascate di piume di struzzo e chilometrici codazzi di organza innalzati a feticci e frapposti al contatto visivo con un artista che si offre nel suo sentire più intimo, nelle sue fondanti scelte esistenziali, finanche nelle sue patologie. Il prezioso e serissimo gioco di Sheldon Riley arriva musicalmente al suo culmine (ricordando in qualche modo La Regina della Notte del “Flauto magico” mozartiano disvelata, nella sua malvagia natura, solo tramite meravigliosi, gelidi e inarrivabili vocalizzi, disorientando chi, fino a quel momento la credeva altro) nel vocalizzo che dà ragione all’assunto del titolo: “Non sono lo stesso”, in cui si pone la vera e sempiterna questione di chi siamo, cosa vogliamo, dove andiamo. E, soprattutto, ci ricorda che siamo un percorso e che noi, in realtà, siamo ciò che, continuamente, diventiamo.