Che cosa sono le nuvole? (1967)
La canzone, il cui testo è stato scritto da Pier Polo Pasolini, incornicia, all’interno del film a episodi Capriccio all’italiana, l’omonimo cortometraggio del regista di tanti controversi capolavori. Straziante e burattinesca parodia dell’Otello schakespeariano, il breve film è interpretato da Totò (che subito dopo morì senza aver avuto al possibilità di rivedersi in un ruolo così complesso), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (che rivelarono così agli altri, ma forse anche a se stessi, le loro grandi capacità attoriali non certo limitate, come fino ad allora, alle stereotipie della comicità popolare), Ninetto Davoli e Laura Betti (gli attori-feticcio che Pasolini letteralmente “inventò” e utilizzò in molti suoi film e a cui restò legatissimo affettivamente per tutta la vita). Che cosa sono le nuvolel? è la rappresentazione di una crudele tragedia, messa in scena da un burattinaio che muove una compagnia di burattini interpretati dagli attori citati sopra che, in fondo, non fanno altro che interpretare se stessi, o meglio, il cliché attoriale che ognuno di loro incarnava presso il pubblico degli anni ’60. “Noi siamo in un sogno dentro un sogno”, una vertiginosa mise en abyme che si accentua ulteriormente quando il pubblico della rappresentazione, genuinamente popolare e ancorato alla sue salde e “sane” radici contadine, si rivela incapace di distinguere i piani della realtà e si ribella al tragico epilogo della vicenda. Invadendo il palcoscenico, cambia drasticamente il finale della rappresentazione, rompendo le marionette che interpretavano i personaggi “cattivi” e costringendo il burattinaio a sbarazzarsene definitivamente con l’aiuto di un immondezzaio, Domenico Modugno, che, cantando per tutta la durata del traumatico tragitto, si incaricherà di gettarli in una discarica a cielo aperto. Qui Totò-Iago e Ninetto Davoli-Otello vedono, per la prima volta nella loro vita, il cielo con le sue nuvole. Non possono comprendere che cosa siano ma possono emozionarsi e rendersi conto, su un fulminante inciso dell’Adagio del quintetto per archi K. 516 di Mozart, della “straziante, meravigliosa bellezza del creato”.
L’importanza strutturale della canzone si evince dalla strategica doppia collocazione, all’inizio e alla fine del film, come un’ulteriore cornice, piuttosto che un contenitore all’interno del quale vi è l’intero nostro sentire. Un canto di amore infinito, una struggente barcarola costellata dal suono del mandolino e dall’emozionante voce di Domenico Modugno: “Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo, lo soffia il cielo così”.
Bellissima struggente interpretazione delle parole di Pasolini. Un insolito Modugno, intenso e toccante
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