Cesária Évora

Sodade (1992)

Ci sono voci che riescono ad evocare, fin dalle prime battute d’ascolto, un intero mondo perfettamente configurato e definito, con una gamma di sentimenti ricchissimi che riconosci irrimedabilmente come tuoi. La voce di Cesária Évora è una di queste, ed è anche una delle più coinvolgenti. Interprete dalla carriera tardivamente luminosa ma molto complicata: conobbe per lunghi anni la difficoltà di emergere in un posto diverso da quello in cui era nata, l’arcipelago delle Isole di Capo Verde, e conobbe anche l’amarezza nella maturità, per una decina di lunghi anni, di una rinuncia alle scene a causa proprio degli insuccessi. Morì quando si era ormai affermata in Europa come una delle interpreti più prestigiose e carismatiche.

Cesária Évora, che non rinunciò mai a cantare in lingua creola capoverdiana, rende universale il peculiare genere che ha portato sulle scene, ostinatamente, per tutta la vita: la morna, l’espressione forse più intensa della musica capoverdiana. Benché geograficamente lontane da tutto le Isole di Capo Verde sono state un singolare crogiolo delle musiche portate da tutte le popolazioni che le hanno incrociate: dai portoghesi che le hanno colonizzate, a tutte le popolazioni africane che hanno dovuto fare forzatamente tappa su di esse durante il viaggio di deportazione in schiavitù verso le Americhe. E hanno contribuito anche gli echi della musica brasiliana che riattraversavano l’oceano con gli equipaggi che ritornavano per effettuare un ulteriore carico. La morna, lenta e struggente, è l’espessione capoverdiana ma universale, di quel misto di tristezza, solitudine, nostalgia ma anche desiderio di vita che viene rappresentanto dal termine “Sodade” (non molto diversamente dalla “Saudade” brasiliana.)