Terra ca nun senti (1973)
Quando Rosa Balistreri, in pieno revival della folk music, incide per la prima volta questo potente brano di Alberto Piazza, distrugge in un attimo tutti gli stereotipi che volevano dipingere il posto natìo come il più amorevole e arcadico che ci fosse. E per far ciò viene utilizzata la forma della ninna-nanna, la più dolce e cullante che ci sia. Ma non c’è dolcezza in Terra ca non senti e la voce di Rosa Balistreri, vigorosa, drammatica, fieramente dolente, non si rivolge ad una madre ma ad una sprezzante matrigna, tanto agognata quanto cruda, nella sua quasi leopardiana indifferenza, alla sorte dei suoi sventurati e misconosciuti figliastri. Non c’è speranza, non ci sarà riscatto. E’ un grido di insofferenza e ribellione perfino all’esistenza dell’universo, o quanto meno a quella scheggia di universo che ci è dato scorgere. Brano ed interpretazione di rara, desolante efficacia. Così come le immagini neorealistiche che accompagnano il brano in questo filmato, anch’esse molto lontane da ogni compiacimento regionalistico, un prezioso documento che testimonia la presenza di un universo alternativo ma coesistente a quello dei Gattopardi. Ma la Sicilia è stata, ed è, terra delle più viscerali e sublimi contraddizioni.
Molte sono state le interpreti di grande valore e di diversa matrice che si sono cimentate con questo brano. Ognuna di esse ha dovuto trovare una strada alternativa a quella, ormai impercorribile per chiunque, della Balistreri.
Noa, musicista israeliana dalla carriera sfolgorante nonostante alcune scelte non del tutto adeguate alle sue notevoli doti vocali, interpreta il brano in modo vocalmente inappuntabile, misurato, equilibrato. Quest’ultimo però perde così la sua disperata carica eversiva e si riveste, come molte altre interpretazioni della pur bravissima cantante, di un patina di manierismo.
Nada, che ha fatto sempre scelte molto coraggiose e anticonvenzionali, riesce invece a reinterpretare il brano, legandolo alla tradizione vocale popolare toscana, in modo personalissimo e di notevole efficacia.
Splendida la versione di Rita Botto che, accompagnata da una banda, trasforma la ninna-nanna originaria in una formale quanto solenne marcia funebre, ponendo l’accento su una rassegnazione ancor più convenzionale, contestualizzandosi, non senza un’amara ironia, sugli stereotipi della sicilianità.
Savina Yannatou, sensibile e appassionata interprete greca, trasforma invece il ritmo originario in un valzer lento che fa virare il brano, in modo molto convincente, verso un’atmosfera elegiaca e intimista. Ma rende soprattutto evidente che una canzone, con una forte connotazione territoriale e culturale, può, a dispetto delle sue specificità, diventare l’espressione più vera di chiunque voglia accostarsi a essa. Nonostante le differenze, nonostante le distanze.