Ti aspetto all’altare (2018)
Il genere della canzone napoletana ha sempre goduto di ottima e florida salute, poco sensibile al cambiamento delle mode e delle contingenze temporali. Ancora più in salute è il genere della canzone da matrimonio, che trova prima nella sua patria d’elezione, Napoli e hinterland, e poi nella sua patria adottiva, il palermitano, da cui è letteralmente adorata, un bacino di consensi che la rendono intramontabile. E a consolidare tanto favore sono arrivati anche i neomelodici. La canzone matrimoniale (come del resto il cantante da matrimonio) è assolutamente irrinunciabile, ancora più delle ostentazioni di opulenza, in una cerimonia che assume un’importanza sociale enorme: senza un vero cantante da matrimonio il rito nuziale non può essere considerata completo. La canzone da matrimonio è per sua natura fortemente stereotipata: struttura strofa/ritornello, armonie tonali e prevedibili, melodie vocalmente definite ma senza particolari virtuosismi- Gli argomenti trattati sempre identici: l’indissolubilità del legame che gli sposi stanno stringendo, l’ansia dell’ultima notte di attesa, il valore della fedeltà coniugale, il pentimento per gli errori sentimentali del passato (soprattutto quelli di lui), la commozione per l’inizio di una nuova vita in due. Ma cosa rende allora così irresistibile il successo della canzone da matrimonio di un preciso settore di pubblico, ma, da parte di moltissimi altri, un malcelato e forse troppo elitario e ingeneroso disprezzo? Forse è proprio la sua prevedibilità, il suo essere parte integrante di una cerimonia, che si deve svolgere necessariamente nello stesso e identico modo, nella sequenza in cui è, immodificabile, per l’eternità uguale a se stessa. Come un mantra che deve essere ripetuto pedissequamente, nel piacere dell’ipnosi, nella confortevole illusione che tutto resti uguale com’è, o come si vorrebbe che fosse. Un mondo di ritualità conosciute e immodificabili. Un mondo certo.
Ho trascelto, come esemplificazione, quattro brani di cantanti neomelodici di indubbia bravura tecnica, il più famoso forse è Ti aspetto all’altare di Tony Colombo, palermitano di origine, curriculum impressionante, una marea di dischi venduti, milioni di visualizzazioni youtube.
Apprezzo quanto hai scritto, ma dopo aver sentito i brani e visto i video mi è venuta l’orticaria!
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La musica è un potente veicolo della sensibilità e del pensiero della comunità da cui scaturisce. E di questa incarna le peculiarità che, proprio perché tali, non possono rappresentare tutti e non possono colpire la sensibilità di tutti. Ma forse è proprio per tale motivo che ognuno di noi ascolta la musica degli “altri” e ne trae gran giovamento. Il bisogno di confrontarci con ciò che non siamo, o non vogliamo essere o non possiamo essere (fosse anche il nostro vicino di casa o addirittura un nostro fratello), è ciò che rende affascinante questa ricerca. Altrimenti gli atei non si delizierebbero ad ascoltare Bach, i credenti non troverebbero interessante Ravel, le persone razionali aborrirebbero qualsiasi melodramma. La musica poco interessante non è quella che fa venire l’orticaria ma quella che… non fa venire nulla, che scivola via senza avere, in qualche modo, spalancato un’altra prospettiva, qualsiasi altra.
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